Le cose grandi, la vista larga, sono generiche. La costa mediterranea c’è piena di lavanda e gli altri arbusti, essiccati sotto il sole d’estate, che emanano il profumo di curry e timo. L’occhio e la bocca prèndono il sapore di qualcosa stringata ed ocra nel mezzo di questa verde bruciata. Che lascia un sapore metallico sulla punta della lingua, nel bacino della retina, nichel-cadmio, un centesimo leccato.
C’è anche il mare stesso che diffonde tutto. I piccoli sassi stanno nel fondale marino mormorando: “Zita…zita…zita…” alle onde felici e turbolente. Le onde si occupano di ridisegnare il litorale; scavano sempre più sassi per consigliare il silenzio. Alla riva, qualche sassi hanno preso il colore del rame ossidato che emerge dal caos generale di grigio striato con bianco.
Le cose chi sono particolare sono contemporaneamente universale dai terrazzi delle apertamente in affitto per l’estate: la banalità di bougainvillea e cedro; il cemento e le piastrelle; la tavola bianca, il parasole della spiega, le sedie pieghevole; i zaini stipato di teli da mare. A terra, tra i formici, sono briccole e i giocattoli di plastica. Sopra la tavola è l’ombrellone e l’ombra della farfalla circumvolante la su.
Dove è qui, esattamente? FRAMURA, frazione ANZO sopra COSTA e la stazione ferroviaria. Le sedie pieghevoli sono i tipi vecchi, fatto in legna con i meccanismi in metallo un po’ arrugginito. Una volta sono stati verniciati di bianco ma, forse l’anno scorso, qualcuno ha riverniciato un colore che il colorificio potrebbe chiamare “Cotê d’Azure”. L’ombrellone sopra la tavola è coperto in una tela rossa-ciliegia distesa sul sei stecche di legno. Un fruttuoso ramo di cedro ha invaso il spazio sotto il bordo dal ombrellone più lontano da me. Tutti i faci degli fogli chi stanno guardando sopra prendano la luce riflessa e fanno la sfumatura cromatica: rosso-rossiccio-marone-nero. Il contrasto tra il verde sotto e la superficie rossoscuro degli fogli fa ogni margine di transizione nitido come una lettera d’araba incisa in argento.